L’Assessore ai servizi sociali Roberto Molinari ci illustra le linee guida del PGT nell’area dei servizi sociali.
Il 27 febbraio scorso abbiamo presentato le linee strategiche del nuovo PGT di Varese. Durante l’incontro, dopo aver ascoltato il professor Arcidiacono del Politecnico di Milano, l’altro intervento di livello e di grande interesse, almeno a mio parere, è stato quello del sociologo Aldo Bonomi, già animatore del consorzio AASTER di Milano.
Bonomi ci ha fornito diversi spunti di riflessione. Ci ha dato una chiave di lettura, una interpretazione di come si fa “pensiero” su di una città media come è Varese, ma che è, nello stesso tempo anche città cerniera, città nodo di reti e parte delle piattaforme lombarde con tutte le loro contraddizioni. Dal limes al limen, per usare un suo linguaggio. Non voglio qui certamente andare a riprendere quanto ci ha magnificamente illustrato Bonomi ed anzi, per chi volesse e ne avesse tempo, consiglio l’ascolto della registrazione tramite il canale YouTube del Comune di Varese. Quello che mi preme riprendere sono solo alcune brevi battute che proverò ad inserire nei ragionamenti che da alcuni mesi stiamo cercando di fare e di socializzare non solo con i colleghi di Giunta. «L’identità sta nelle relazioni, la composizione sociale di una città media è un po’ come “il non piu, ma anche il non ancora”, occorre ricostruire il luogo del sociale inteso come insieme di reti corte e se non si vuole essere solo luogo di attraversamento occorre lavorare per costruire “la piattaforma sociale”». Così ci suggerisce Bonomi. Partendo da questi brevissimi spunti direi che ci sono degli aspetti che ci riguardano da vicino e che ho rappresentato non molto tempo fa in commissione urbanistica su sollecitazione del bravo Presidente Marasciulo e che qui richiamo brevemente.
L’invecchiamento della nostra popolazione. Tra pochi anni gli over 65 saranno poco più del 30% dei cittadini di Varese. Questo dato apre la riflessione su che tipo di “servizi” possono essere messi in campo. Su come possiamo affrontare il tema dell’invecchiamento e del suo accompagnamento. Sulla silver economy e su che tipo di attività di “vicinanza” a questa categoria si può porre in essere.
Altro grande problema. Il tema della disabilità. Noi vogliamo una città inclusiva e vogliamo che lo sia a 360 gradi. Dunque, se in dieci anni siamo passati dall’avere circa 50 alunni disabili nelle nostre scuole dell’obbligo agli attuali oltre 250 questi numeri ci pongono una serie di domande a cui non possiamo fuggire. Possiamo mettere in campo una serie di servizi a partire dai primi anni di vita? Si regge ancora il sistema dell’assistenza ad personam nella scuola dell’obbligo? Dopo la scuola dell’obbligo che succede?
Il tema dei servizi che sono nel pubblico, ma soprattutto nel privato sociale ed accreditati fa si che si possa parlare di una “concentrazione” di questi nella nostra città e per tanto di Varese come luogo che attira anche nuovi servizi specialistici, ma anche utenza che trova “vicine”, quelle attività che, altrimenti, non utilizzerebbe? E quindi come pensiamo di garantire tutto questo? La presenza di servizi specialistici significa anche personale specializzato, nuovi posti di lavoro ed anche nuovi insediamenti. Come favorire tutto questo? I minori, gli adolescenti, i giovani e le famiglie. Non possiamo essere né passare per strabici. Porsi il problema dell’invecchiamento naturale della popolazione non vuol dire negare l’esistenza di un problema legato all’inverno demografico e al tendenziale svuovamento della città. Un dato, anzi due su cui riflettere. I costi elevati di affitti, case da acquistare, della vita in generale fanno si che le giovani famiglie si spostino nei comuni limitrofi dove i costi, per esempio, delle case sono più bassi e più abbordabili per chi è all’inizio di un cammino di vita in comune. Dall’altro lato non è neanche pensabile che una città abbandoni l’ambizione di far si che la sua popolazione cresca e che abbia un futuro come città e non si lasci cadere nella sindrome del possibile suo decadimenti non solo frutto del naturale invecchiamento della popolazione, ma anche della sua trasformazione in una sorta di dormitorio o gigantesca rsa.
Insomma, le città si rinnovano e si aprono al futuro se sanno anche e soprattutto intercettare chi sa raccogliere le sfide del cambiamento e dell’innovazione. Chi è più disponibile ai cambiamenti sono però i giovani e non gli anziani che hanno, a detta di tutti gli studi, più propensione per la conservazione del presente e l’allergia per le sfide che riguardano il futuro. Scritto questo rimane il tema di come affrontare il sostegno alle famiglie, mettere a disposizione spazi e servizi per i minori, gli adolescenti ed i giovani e di come affrontare le fragilità che li riguardano in un particolare momento storico dove si assiste a fenomeni mai registrati prima circa la tenuta sociale dei minori e dei giovani. Ma apro una brevissima parentesi. I dati ci dicono che dal 2025 avremo un ulteriore calo della popolazione scolastica di quasi il 3% annuo. Questo ci deve interrogare, non solo sul tema “inverno demografico” che è una questione nazionale, ma, per ciò che ci riguarda da vicino, sul nostro sistema scolastico, sugli edifici scolastici e sul loro utilizzo in futuro a fronte di una razionalizzazione che nasce da questi dati e che dovrà necessariamente cambiare anche le “abitudini” delle famiglie. Accanto a questi aspetti che ho brevemente illustrato vanno aggiunti, anche perché non bisogna mai mettere la testa sotto la sabbia, il tema dei nuovi cittadini varesini e cioè della popolazione immigrata di prima e di seconda generazione. Un dato anche qui non scontato. All’inizio degli anni 90 la popolazione extracomunitaria nella nostra città era di circa 2/3% sul totale. Come sappiamo in questi ultimi 30 anni abbiamo sopportato la vuota retorica della Lega che innalzava muri e barriere contro questo fenomeno. Risultato? Oggi la popolazione dei nuovi varesini di origine extracomunitaria è di circa il 12/13% della popolazione totale. Questo vuol dire essenzialmente che la vuota retorica genera solo conflitti sociali, egoismi e paure e viene usata solo per parlare alla pancia delle persone per puri scopi elettorali (di perenne campagna elettorale osereri scrivere ), ma il fenomeno è uno tsunami inarrestabile con cui tutti dobbiamo fare i conti. E la differenza sta nel subirne gli effetti o nel governarlo con razionalità e sguardo rivolto al futuro. E dunque anche di questo dobbiamo farci carico all’interno di un sistema coordinato di welfare che dobbiamo mettere in campo soprattutto rivolto alle seconde generazioni.
Aggiungo ovviamente uno sguardo trasversale e che riguarda poi solo una parte di quello che è l’insieme degli impegni quotidiani dei Servizi Sociali. Tema abitativo, tema delle fragilità economiche che riguardano i molti cittadini, tema della fragilità psichiatrica e psichica dei molti riconosciuti e dei molti non riconosciuti e non seguiti, tema dei senza dimora e così via. E dunque riprendo le parole finali di Bonomi.
Costruire il PGT ha a che vedere anche con la necessità di dare delle risposte di senso che ci permettano di costruire una “piattaforma sociale” in grado di intercettare tutte le reti presenti nella nostra società, ma anche di essere in grado di attirarne di nuove per raggiungere gli obiettivi di welfare moderno che ci riguardano da vicino. E questo e lo scrivo con rammarico, soprattutto in epoca di risorse sempre più scarse per ciò che riguarda gli enti locali, risorse scarse a fronte di nuovi impegni che il Governo centrale pone a carico dei Comuni.