“Se volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”. È Piero Calamandrei che rivolge queste parole a un gruppo di giovani studenti alla Società Umanitaria, a Milano, nel 1955. È qui che la Repubblica celebra oggi le sue radici, celebra la Festa della Liberazione.
Stamane, con le altre autorità costituzionali, ho deposto all’Altare della Patria una corona in memoria di quanti hanno perso la vita per ridare indipendenza, unità nazionale, libertà, dignità, a un Paese dilaniato dalle guerre del fascismo, diviso e occupato dal regime sanguinario del nazismo, per ricostruire sulle macerie materiali e morali della dittatura una nuova comunità.
“La guerra continua” affermò, nella piazza di Cuneo che reca oggi il suo nome, Duccio Galimberti, il 26 luglio del 1943. Una dichiarazione di senso ben diverso da quella del governo Badoglio. Continua – proseguiva Galimberti – “fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana…non possiamo accodarci ad una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani”. Un giudizio netto e rigoroso. Uno discorso straordinario per lucidità e visione del momento. Che fa comprendere appieno valore e significato della Resistenza. E fu coerente, salendo in montagna. Assassinato l’anno seguente dai fascisti, è una delle prime Medaglie d’oro della nuova Italia; una medaglia assegnata alla memoria. Il “motu proprio” del decreto luogotenenziale recita: ” Arrestato, fieramente riaffermava la sua fede nella vittoria del popolo italiano contro la nefanda oppressione tedesca e fascista”; ed è datato, con grande significato, “Italia occupata, 2 dicembre 1944”.
Dopo l’8 settembre il tema fu quello della riconquista della Patria e della conferma dei valori della sua gente, dopo le ingannevoli parole d’ordine del fascismo: il mito del capo; un patriottismo contrapposto al patriottismo degli altri in spregio ai valori universali, che animavano, invece, il Risorgimento dei moti europei dell’800; il mito della violenza e della guerra; il mito dell’Italia dominatrice e delle avventure imperiali nel Corno d’Africa e nei Balcani. Combattere non per difendere la propria gente ma per aggredire. Non per la causa della libertà ma per togliere libertà ad altri. La Resistenza fu anzitutto rivolta morale di patrioti contro il fascismo per il riscatto nazionale. Un moto di popolo che coinvolse la vecchia generazione degli antifascisti. Convocò i soldati mandati a combattere al fronte e che si rifiutarono di porsi sotto il comando della potenza occupante tedesca, pagando a caro prezzo, con l’internamento in Germania e oltre 50.000 morti nei lager, questa scelta. Chiamò a raccolta i giovani della generazione del viaggio attraverso il fascismo, che ne scoprivano la natura e maturavano la scelta di opporvisi. La generazione, “sbagliata” perché tradita. Giovani ai quali Concetto Marchesi, rettore dell’Università padovana si rivolse per esortarli, dopo essere stati appunto “traditi”, a “rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano”.
Fu un moto che mobilitò gli operai delle fabbriche. Coinvolse i contadini e i montanari che, per la loro solidarietà con i partigiani combattenti, subirono le più dure rappresaglie (nel Cuneese quasi 5.000 i patrioti e oltre 4.000 i benemeriti della Resistenza riconosciuti). Quali colpe potevano essere ascritte alle popolazioni civili? Di voler difendere le proprie vite, i propri beni? Di essere solidali con i perseguitati? Quali le colpe dei soldati? Rifiutarsi di aggiungersi ai soldati nazisti per fare violenza alla propria gente? Alla memoria delle vittime e alle sofferenze degli abitanti la Repubblica oggi si inchina.
Dura fu la lotta per garantire la sopravvivenza dell’Italia nella catastrofe cui l’aveva condotta il fascismo. Ci aiutarono soldati di altri Paesi, divenuti amici e solidi alleati: tanti di essi sono sepolti in Italia. Ad essa si aggiunse una consapevolezza: la crisi suprema del Paese esigeva un momento risolutivo, per una nuova idea di comunità, dopo il fallimento della precedente. Si trattava di trasfondere nello Stato l’anima autentica della Nazione. Di dare vita a una nuova Italia. Impegno e promessa realizzate in questi 75 anni di Costituzione repubblicana. Una Repubblica fondata sulla Costituzione, figlia della lotta antifascista. Le Costituzioni nascono in momenti straordinari della vita di una comunità, sulla base dei valori che questi momenti esprimono e che ne ispirano i principi. Le “Repubbliche” partigiane, le zone libere, furono anticipatrici, nelle loro determinazioni, nel loro operare, della nostra Costituzione. E’ dalla Resistenza che viene la spinta a compiere scelte definitive per la stabilità delle libertà del popolo italiano e del sistema democratico, rigettando le ambiguità che avevano permesso lo stravolgimento dello Statuto albertino operato con il fascismo.
Il decreto luogotenenziale del 2 agosto 1943 – poco dopo la svolta del 25 luglio – prevedeva l’elezione di una nuova Camera dei Deputati, per un ripristino delle istituzioni e della legalità statutaria, non appena ce ne fossero le condizioni, fu il decreto del 25 giugno 1944 – pochi giorni dopo la costituzione del primo Governo del CLN – a indicare che dopo la liberazione del territorio nazionale sarebbe stata eletta dal popolo, a suffragio universale, un’Assemblea costituente, con il compito di redigere la nuova Costituzione. Per questo quel decreto viene definito la prima “Costituzione provvisoria”. Seguirà poi il referendum, il 2 giugno 1946, con la Costituente e la scelta per la Repubblica. La rottura del patto tra Nazione e monarchia, corresponsabile, quest’ultima, di avere consegnato l’Italia al fascismo, sottolineava l’approdo a un ordinamento nuovo. La Costituzione sarebbe stata la risposta alla crisi di civiltà prodotta dal nazifascismo, stabilendo il principio della prevalenza della persona e delle comunità sullo Stato, guardando alle autonomie locali e sociali dell’Italia come a un patrimonio prezioso da preservare e sviluppare. Una risposta fondata sulla sconfitta dei totalitarismi europei di impronta fascista e nazista per riaffermare il principio della sovranità e dignità di ogni essere umano – autonoma identità – sulla pretesa di collettivizzazione in una massa forzata al servizio di uno Stato, in cui l’uomo appare solo un ingranaggio. Il frutto del 25 aprile è la nostra Costituzione. Il 25 aprile è la Festa della identità italiana, ritrovata e rifondata dopo il fascismo. E’ nata una democrazia forte e matura nelle sue istituzioni e nella sua società civile, che ha permesso agli italiani di raggiungere risultati inimmaginabili. Nel lavoro di Galimberti e Rèpaci troviamo temi, affermazioni, che sono oggi realtà della Carta costituzionale italiana, come all’art. 46: “le differenze di razza, di nazionalità e di religione non sono di ostacolo al godimento dei diritti pubblici e privati”.
Sulla scia di quei “visionari” che, nel pieno della tragedia della guerra e tra le macerie, disegnavano la nuova Italia di diritti e di solidarietà, desidero sottolineare che onorano la Resistenza, e l’Italia che da essa è nata, quanti compiono il loro dovere favorendo la coesione sociale su cui si regge la nostra comunità nazionale .Come recita la lapide apposta al Municipio di questa città, nell’ottavo anniversario della uccisione di Galimberti, se mai avversari della libertà dovessero riaffacciarsi su queste strade troverebbero patrioti. Come vi è scritto: “morti e vivi collo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza”. Viva la Festa della Liberazione! Viva l’Italia!