La legge finanziaria dello Stato è arrivata in porto in tempo utile per evitare l’esercizio provvisorio spauracchio di tutti i governi e temutissimo dai mercati. Le elezioni politiche anticipate di quasi un anno a cui ci hanno precipitato Salvini e Berlusconi premendo il grilletto della pistola armata populisticamente da Conte hanno di per sé ridotto di molto il tempo necessario per arrivare ad una elaborazione della legge di manovra più importante per l’anno 2023 e consentire una utile discussione parlamentare. Una manovra, quella del primo anno di Governo Meloni che, paradossalmente, ha risentito certamente dell’impostazione che in passato Draghi aveva dato delle sue leggi di bilancio, certamente ha risentito dei paletti messi da Bruxelles, ma che, nello stesso tempo, ha visto prevalere, dove si poteva, scelte di carattere fortemente identitario. Il fatto poi che l’opposizione abbia evitato ogni forma di ostruzionismo per non arrivare all’esercizio provvisorio ne ha consentito, appunto, l’approvazione in tempi comunque utili.
Fatta questa premessa proverei a svolgere qualche pensiero, qualche valutazione e qualche conclusione alla luce di quelli che a me paiono i capitoli più significativa della norma appena approvata.
Proviamo: sconti in bolletta per famiglie e imprese. 21 miliardi (a debito, nel senso che la manovra per finanziare questo intervento aumenterà il nostro stratosferico debito ora al 4,5% del PIL, di altri 21 miliardi), ma solo per i primi 3 mesi dell’anno e poi che succederà? Taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti pari al 3% ( fino a 35 mila euro lordi di imponibile ). Quindi più soldi nelle tasche dei lavoratori. Accanto a questa scelta anche l’aliquota al 15% per le partite iva con ricavi fino a 85mila euro. Aumento dell’assegno unico per il primo figlio nel primo anno di età ed anche per chi ha 3 figli fino a 3 anni e maggiorazione dal quarto in su. Un mese in più di congedo parentale. Bonus sociale, sempre nel primo trimestre dell’anno, per le famiglie con ISEE fino a 15 mila euro. Sgravi contributivi per chi assume under 36 per 3 anni. Reintroduzione dei voucher in agricoltura e turismo, con tetto massimo a 10mila euro. Mutui: messi i paletti per passare dal variabile al fisso senza penalità (fino a ISEE 35 mila e fino a 200mila euro di mutuo). Pensioni. Nel 2023 si potrà andare in pensione con quota 103 (41 anni di contributi e 62 anni di età). Segnalo anche il famoso innalzamento del tetto al contante ( i poveri vanno sempre in giro con 5 mila euro in tasca se no che poveri sono …..) e la c.d. norma salva sport, norma, quest’ultima che fa si che le società sportive dilettantistiche e professionistiche che sono in debito con lo Stato per i contributi non versati durante la pandemia possano fare questo versamento in 60 rate entro il 2027. Rottamazione delle cartelle. In sostanza per chi non è in regola con il pagamento delle cartelle esattoriali dal 2000 al 2015 fino a 1000 euro queste potranno essere cestinate, ma per quelle legate ai comuni, in particolare le multe la decisione spetterà ai Sindaci. Ma, attenzione, il testo della finanziaria stabilisce inoltre altre 12 tra sanatorie e condoni.
In apparenza molte di queste norme sono a favore dei ceti meno abbienti e a sostegno delle famiglie. Tuttavia, prima di passare alla parte che più mi compete e cioè quella relativa ai comuni, proverei a fare qualche ragionamento su queste scelte. Innanzitutto bene il sostegno “sociale” alle famiglie per ciò che concerne il pagamento delle bollette, ma la misura è solo per tre mesi e quindi è una sorta di scommessa a tempo sul futuro e una speranza a che la situazione non peggiori tant’è che è fatta a debito cosa che difficilmente può ripetersi. Bene anche l’abbattimento del cuneo fiscale del 3%, ma al di là del pensare che forse poteva essere maggiore (Confindustria chiedeva il 4%) va rimarcato che questa è una misura che copre la fascia di popolazione che lavora e che ha, pertanto un reddito, rimane e bisogna chiederselo e chi non lavora? Visto anche che, contestualmente, si è deciso di ridurre il reddito di cittadinanza a 7 mesi.
Di molto, ma molto dubbio valore la scelta di estendere la flat-tax del 15% alle partite iva con ricavi sino ad 85 mila euro. Per usare i ragionamenti di un pericoloso “comunista rivoluzionario” come il Presidente di Confindustria Bonomi questa appare una misura totalmente contraria allo spirito progressivo delle imposte nel nostro Paese così come previsto, tra l’altro, dalla Costituzione, ma soprattutto penalizzante e mortificante per i lavoratori dipendenti. Infatti questi ultimi si troveranno a pagare il doppio di Irpef se non di più rispetto alle partite iva di cui sopra. Ma non solo. Molti datori e molti lavoratori dipendenti potrebbero essere tentati dal trasformare e trasformarsi in partite iva così dal pagare meno tasse. Aggiungo anche che in questo modo molte partite iva sarebbero anche incentivate a dividere le proprie attività per non raggiungere il limite degli 85 mila euro e quindi con fenomeno di elusione o, addirittura, a passare quel che va sopra gli 85 mila euro al “nero” in modo da non pagare tasse in più. Insomma, mi pare una sorta di incentivo a comportamenti non corretti e se poi uniamo questa norma con l’innalzamento del tetto dei contanti e i 12 condoni contenuti tutto sembra una sorta di premio a chi le tasse non le paga.
Anche il tema voucher si presta ad una doppia lettura. Bene se introdotto in un campo di applicazione limitato e ben regolamentato al fine di evitare abusi, ma non è detto che la cosa sia semplice. Mi spiego. Il piccolo artigiano o la piccola azienda che ha la persona per le pulizie ad esempio solo due ore alla settimana ha certamente interesse a utilizzare voucher che sono onnicomprensivi anche dei contributi Inps rispetto che ad una assunzione diretta o servirsi di cooperative e ovviamente questo potrebbe essere utile al di là del campo di applicazione previsto attualmente e cioè per turismo o agricoltura. Tuttavia gli abusi e la precarizzazione sono dietro l’angolo. Se tu allarghi a dismisura i campi, se metti 10mila euro di limite annuale allora anche la finalità stessa viene a cadere. Nella precedente esperienza, prima che i voucher venissero aboliti, ho visto commesse nel commercio pagate con questo metodo andare avanti per dei mesi a lavorare 8 ore al giorno per 7 giorni alla settimana con interruzione del rapporto come previsto e poi riassunzione. O addirittura rapporti contaminati da più contratti. Voucher, tempo determinato, voucher e così via. Dunque attenzione ad una possibile ulteriore precarizzazione del rapporto di lavoro al di la di qualsiasi buona intenzione.
Sul reddito di cittadinanza mi si permetta qualche riflessione. Innanzitutto usciamo dalla banalità delle dichiarazioni ideologiche di Salvini e della Meloni. La campagna elettorale è finita. Non c’è nessuno studio scientifico che dimostri che il reddito di cittadinanza disincentiva le persone al lavoro. Semmai il problema è separare il sostegno al reddito, misura sacrosanta, dalle politiche attive al lavoro. Secondo elemento non banale. Il problema sono le occasioni di lavoro che non ci sono e non i rifiuti. Terzo, ovviamente lavoro decentemente pagato e non i 3 euro ad ora per chi fa il lavapiatti ad esempio. In ultima istanza va anche sottolineato che senza il reddito di cittadinanza che ora viene ridotto e che un domani il Governo Meloni vorrebbe abolire, senza, appunto questa misura, negli ultimi due anni il Paese non ce l’avrebbe fatta e ci saremmo trovati di fronte ad una esplosione di conflitti sociali non gestibili. Da ultimo poi il sistema dovrebbe essere gestito dai Comuni che sono gli unici in grado di farlo con controlli seri e non da un organismo centralizzato come l’INPS che non dialoga con le istituzioni del territorio salvo poi affidarsi ai tutori della legge in caso di abusi.
Sui condoni e lo stralcio delle cartelle credo che ci sia poco da aggiungere così come del “salva sport”. Sulle norme introdotte a sostegno delle famiglie con figli. Bene, tuttavia, mi si lasci sottolineare che il Paese ha bisogno di una riforma generale per rompere “l’inverno demografico”, una riforma che unisca sostegno economico, servizi, attenzione alle politiche di genere, (ancora troppe donne sono costrette dopo la maternità ad abbandonare il lavoro), che veda l’introduzione del quoziente familiare, ma corretto al fine di evitare squilibri e penalizzazione dei redditi più bassi. E questi sono solo una minima parte degli interventi che dovrebbero essere fatti in maniera condivisa e con approccio non ideologico unendo tutte le forze politiche.
Ora, per completezza, vorrei, tuttavia, aprire la partita degli Enti Locali tema questo che la “finanziaria identitaria” come ha detto la Presidente del Consiglio sembra abbia completamente dimenticato.
Che cosa aveva richiesto ANCI, l’associazione dei Comuni italiani, quindi di tutti i colori politici, nel momento in cui sono circolate le bozze del testo?
Innanzitutto alcune premesse fatte proprie dall’Associazione dei comuni.
- l’effetto diretto della crescita dei costi energetici impatta fortemente sui bilanci comunali. Questo vuol dire meno risorse per i “servizi”;
- accanto alle minori risorse perché è necessario pagare le “bollette” anche da parte degli Enti, si assiste anche all’aumento congiunto dell’incremento dei prezzi sui servizi e sull’affidamento per investimenti;
- si assiste ad un effetto indiretto prodotto dall’incremento dei costi energetici sulle società pubbliche e non che sono affidatarie dei servizi locali (sociali e produttivi);
- non si può sottovalutare il peso del rinnovo contrattuale dei dipendenti, rinnovo stabilito in sede nazionale e con aggravio, anche in finanziaria messo totalmente a carico dei comuni;
- l’accantonamento obbligatorio del 100% al fondo di dubbia esigibilità che drena risorse importanti;
- a tutti questi fattori si deve aggiungere il peggioramento dei bilanci familiari per la tendenza all’aumento dei prezzi (inflazione) e il pesante rincaro energetico. Questo incide pesantemente sui servizi sociali dei comuni perché determina a fronte di risorse scarse o quasi nulle l’aumento delle richieste inevase o la sospensione di quelle già in essere con rottura dei rapporti fiduciari degli enti nei confronti delle persone in carico e che potrebbero essere in futuro seguite.
Ma vediamo a questo punto su cosa ANCI ha chiesto con forza di intervenire e che, purtroppo, la legge finanziare non ha tenuto in conto se non in minima parte.
Anci ha posto con forza il tema dell’insufficienza delle risorse necessarie per coprire i costi energetici, oltre al fatto che lo stanziamento riguarda i soli primi tre mesi dell’anno non da certezza di bilancio; il problema dell’una tantum come quota integrativa agli arretrati rispetto al rinnovo contrattuale per i dipendenti e messa a carico dei comuni senza nessun contributo da parte dello Stato. Solo al comune di Varese l’aumento contrattuale costerà circa un milione di euro in più ( lo Stato non da contributi al riguardo ) e questa una tantum inciderà’ per diverse centinaia di miglia di euro in aggiunta ( anche questo senza contribuzione da parte dello Stato ); dello stralcio delle cartelle già si è detto e questa norma penalizza i comuni per circa 300milioni di euro; la necessità del mantenimento del fondo di solidarietà covid visto che gli effetti sulle famiglie e le persone in termini di necessità economiche non sono ancora scomparsi.
A questi aspetti poi vanno aggiunte richieste “tecniche”, ma necessarie per liberare risorse per i comuni e a costo zero per lo Stato. Utilizzo degli avanzi liberi fin dal momento della previsione, l’utilizzo degli avanzi liberi in fase di gestione ( post deliberazione del rendiconto ), utilizzo degli oneri di urbanizzazione e dei proventi delle violazioni del codice della strada in deroga ai vincoli; utilizzo libero degli eventuali avanzi vincolati residui delle risorse covid non spese, per l’emergenza energetica e connesse problematiche di tipo sociale. Questo per ciò che riguarda ovviamente le richieste dei comuni e che la finanziaria approvata di recente non ha dato riscontro.
Aggiungerei una ultima nota, prima di passare alle conclusioni e che riguarda alcune perplessità circa il lato entrate. La manovra dal lato delle entrate produce anche una caduta di gettito. L’estensione del regime forfettario a 85mila euro per ricavi dei lavoratori autonomi fa diminuire nelle stime ufficiali il gettito di 280, 7 milioni di euro. La diminuzione dell’aliquota applicata ai premi di produttività inciderà negativamente per 166 milioni di euro. Nel complesso le entrate Irpef perderanno 568 milioni di euro. In 132 milioni si stima poi la caduta di entrate con la proroga alle agevolazioni per l’acquisto della prima casa e, il rinvio dell’introduzione della plastic-tax e della sugar-tax produrrà rispettivamente una perdita di gettito di 277 e 322 milioni. In ultimo si sottolinea che il fondo sanitario nazionale è stato adeguato per 2 miliardi (meno di quanto previsto), mentre è irrisorio lo stanziamento a favore della scuola.
Conclusioni. L’inizio anno si è caratterizzato con l’aumento della benzina e del gasolio perché non è stato reiterato il decreto con cui Draghi interveniva sulle accise, così come abbiamo visto gli aumenti dei caselli autostradali, tutti aumenti che colpiscono indifferentemente i pendolari e i lavoratori che devono muoversi per la loro attività. Se non fosse una battuta ormai consumata mi verrebbe da dire “ecco di cosa parlava la Meloni quando diceva “la pacchia è finita” “. Ora, certamente nessuno pensava che si potessero risolvere tutti i nostri problemi con questa finanziaria, tuttavia, una impostazione diversa avrebbe sicuramente aiutato.
Questa finanziaria è una legge, come da cultura di questa destra al governo, molto centralistica. Le risorse sono distribuite direttamente da Roma. E’ una legge di bilancio che premia alcune categorie e alcuni ceti tipici del quadro identitario della destra. Solo parzialmente sostiene il ceto medio che, se da un lato ha alcuni benefici dall’altro viene penalizzato di fronte all’aumento dell’inflazione e dei rincari che più incidono sulla quotidianità e se poi ci aggiungiamo il provvedimento a favore delle partite iva che vede queste ultime pagare una Irpef quasi la metà dei dipendenti si capisce meglio il tipo di approccio messo in campo.
Inoltre la finanziaria, sempre dando voce ai referenti elettorali della destra, sposa la logica perversa dei condoni e della rottamazione delle cartelle penalizzando ovviamente in questo modo non solo i cittadini onesti che pagano le tasse, ma anche i comuni dicendo ai Sindaci, noi introduciamo una norma che a voi taglia dei fondi, decidete voi se applicarla o no.
Diminuisce inoltre il reddito di cittadinanza perché in questo momento non sono stati in grado di promuovere una riforma, ma indica questa particolare categoria di cittadini al pubblico ludibrio, come se la povertà e l’essere disoccupati fosse una colpa e non un dramma. In ultimo non da sostegni ai comuni innestando una pericolosa spirale fatta di tagli necessari per far quadrare i bilanci e di abbattimenti ai sostegni e ai contributi che gli stessi danno attraverso i servizi sociali ai loro cittadini meno abbienti e questo per mancanza di risorse disponibili.
Insomma, con questa legge finanziaria si rischia di veder saltare il welfare locale, quello più vicino alla gente e quello più concreto perché capace di leggere il bisogno immediato fatto anche, dato da non sottovalutare, di conoscenza e di rapporto fiduciario tra l’Istituzione Comune e il cittadino. E, se accanto a questa situazione ci mettiamo anche il taglio al reddito di cittadinanza forse si capisce perché il rischio dell’esplosione sociale è così denunciato come un fatto concreto e non solo teorico.
Chi perde il reddito di cittadinanza a chi si rivolgerà in futuro? Andrà ad ingrossare la fila dei cittadini che chiedono aiuto ai Servizi Sociali, ma se i comuni sono fin da ora impegnati a tagliare i propri bilanci per mancanza di risorse perché costretti a pagare le “bollette” non avendo avuto contributi da parte dello Stato che ha caricato su di loro anche altre partite che tipo di risposta potrà mai essere data? E che succederà a questo punto?
“La pacchia è finita”. Ah ecco ora abbiamo capito a chi si rivolgevano Meloni e Salvini.
Roberto Molinari
Assessore ai Servizi Sociali Comune di Varese